Era dunque arrivato il giorno della partenza, me ne rendevo conto solo in quel momento, mentre con la sacca sulle spalle m’incamminavo al punto del ritrovo.
Il caldo e l’afa non si ponevano remore dal palesarsi in tutta la loro fastidiosa puntualità, ero il primo ad arrivare. Inspiravo lentamente ed assaporavo gli ultimi attimi di quell’aria a me familiare con un piacere particolare, come l’ultimo respiro prima di immergersi.
Ero sprofondato nel dolce tepore delle inutili e banali chiacchiere con la prima compagna di viaggio ad avermi raggiunto, quando giunse e si fermò, destando la mia attenzione, un grande fuoristrada, dal quale discese un uomo distinto, sui quarantanni con una certa autorità, e lei.
Occhiali da sole neri con grandi lenti rettangolari le si posavano elegantemente sul volto, era quello il primo raggio di sole che, attraverso la rifrazione di quel vetro scuro, mi colpiva veramente.
Giunti il furgone nove posti, e gli altri tre membri della crew, il viaggio vedeva così il suo inizio ufficiale, avremmo passato venti giorni girando per quelle colline verdi, rigonfie di uva e nocciole, dormendo in un ostello rustico ma ospitale.
Osservavo, come mio solito, quella persona a me aliena, che mi incuriosiva in maniera rara, annusavo la sua timidezza nel mostrare la sua reale essenza a quella nuova compagnia, succhiavo le sue espressioni e me le stampavo in mente, iniziavo il processo di conoscenza, a modo mio, la stavo studiando.
Lunghi capelli, di un biondo leggermente imbrunito, le nuotavano fin sulle spalle, l’aria che s’insinuava dal finestrino li faceva sembrare una bandiera in balia del vento, io sedevo dietro di lei, sul furgone, e, quasi inevitabilmente, sentivo il bisogno di sfiorare quei fili di seta. La luce che più caratterizzava quel sole era una vitalità senza pari, unita ad una freschezza straordinaria che la rendevano ai miei occhi un’isola di serenità. I suoi occhi azzurri meravigliosamente lucenti erano circondati da due corone di ciglia lunghissime, quell’immagine, solo apparentemente algida, si contrapponeva al calore emanato incessantemente dal suo incantevole sorriso.
Le giravo intorno, assottigliando spontaneamente le spire, come attirato da una strana forza centripeta, ero la pallina della roulette che si avvicinava alla sua ineluttabile destinazione con una sana dose di coscienza incosciente.
(Ho sempre avuto nella mia vita intuizioni, è una cosa difficile da spiegare, ma ci sono giorni in cui sono totalmente convinto che l’esito delle mie elucubrazioni mentali rispecchi la realtà, in quei casi il mio sesto senso mi avverte di cose che sono successe o che mi stanno per succedere, niente che abbia a che fare con magia o premunizioni, è solo che certe cose le sento, come l’odore della pioggia).
I giorni si susseguivano ordinati e ipnotici, come i vagoni di un treno, l’allegria e la fatica si univano in un sublime aggregato agrodolce che mi nutriva e carezzava lo spirito, mi sentivo al di fuori dal tempo, estraneo alla mia quotidianità, suggestionato da quella parvenza di distacco dal mio io.
Stava arrivando il mio vagone, ero pronto a salirci, non conoscevo la destinazione, ma sapevo che mi invitava a salire, era lì per me!
Ed infatti una delle ultime notti, mentre la strada ci seduceva con le sue sinuose rotondità, ed il vino nel mio corpo mi donava sorridente uno stato di elevazione che mi separava dalla realtà, sentii forte il bisogno di carezzare i raggi di quel sole, quei capelli dorati che placavano la sete dei miei sensi. La mie due dita , dolci e sapide, voluttuose e circospette, già lambivano la sua nuca, danzavano tra i sui capelli, sfioravano ansimanti la sua pelle morbida e sensuale, giocavano fiere, attente ed elettrizzate. Ero completamente assorto da quella sorta di danza rituale, come se tutto il mio essere fosse concentrato sui miei polpastrelli. E proprio mentre la mia mente vagava e le mie dita avevano imparato ormai a danzare autonomamente, un brivido deciso e potente mi attraversò tutta la schiena, un contatto, non subito ben identificato, aveva turbato la ciclica ritualità dei miei gesti, qualcosa di caldo, morbido, liscio stava muovendosi tra le mie falangi, la danza non era più un assolo, ora le sue dita avevano raggiunto le mie. Era un intreccio languido, seducente ed emozionante, pochi centimetri quadrati di pelle che si sfioravano armoniosamente mi donavano sensazioni intense, meravigliose, mi sentivo colpito da un forte calore che mi donava al contempo trepidazione e un forte senso di serenità.
Volavo spensierato, come Icaro, sempre più in alto, le mie ali però al contatto con quel sole non si scioglievano, ma ne traevano giovamento, ne assorbivano energia.
La luce di quei raggi rasserenava la penombra che da un po’ di tempo rendeva la mia vita incerta, irresoluta ed aleatoria, mi sentivo come un bambino, uscito dall’utero di una condizione costrittiva per approdare ad una nuova isola di libertà, ad una nuova coscienza, un nuovo sorriso.
Sorridevo, come chi sa che la vita è un sogno naufragato in un mare di parole, volavo leggero in un’estasi di luminosità seducente, portavo la mia barca oltre le colonne d’Ercole sospinto dallo splendore di un’iridescenza inaspettata.
Sentivo quello sfolgorio penetrami, un lampo di purezza aveva illuminato il mio sentiero, una sensazione meravigliosa mi adornava come un’aurora boreale , la strada davanti a me si presentava impervia ma ricca di splendide ed indimenticabili giornate di sole, un sole caldo, sontuoso ed ammaliante.
PJP©